Operazione Ladbroke
Nel settore britannico fu impiegata per la prima volta in modo organico la 1st Airlanding Brigade della 1ª Divisione aviotrasportata del generale Hopkinson, fino ad allora coinvolta solo in operazioni di commando: si trattava di un reparto di fanteria da sbarco aereo trasportata su alianti, che doveva lanciarsi nei pressi di Siracusa nella notte tra il 9 e 10 luglio e assicurarsi Ponte Grande sul fiume Anapo, di alto valore strategico per la rapida avanzata della fanteria sulla città[85]. Anche in questo caso l'operazione fu inficiata da contrattempi e dai venti contrari che spiravano sul canale di Sicilia; si ripeterono inoltre i problemi di pilotaggio, dovuti a un addestramento frettoloso e superficiale: in molti casi i piloti sganciarono gli alianti al traino dei bombardieri in posti molto distanti dall'obiettivo e gli stessi aviatori sugli alianti furono preda delle condizioni atmosferiche e della contraerea[86].
Dei 144 alianti agganciati a 109 Dakota e trentacinque Albemarle (molti Waco più qualche Airspeed Horsa britannico), solo 55 atterrarono in Sicilia, spesso con esiti drammatici, mentre almeno 60 caddero in mare perché sganciati troppo lontani dalla costa; i rimanenti furono abbattuti oppure sparirono senza lasciare traccia. Perciò al cruciale assalto a Ponte Grande partecipò un solo plotone e non i previsti 500 uomini: la piccola unità agì con determinazione, prese il ponte e tolse le cariche di esplosivo predisposte. Al mattino di sabato 10 luglio il plotone era cresciuto fino a contare ottantasette uomini, ma i continui attacchi italiani portati dal 75º Reggimento Fanteria della Divisione "Napoli" al comando del colonnello Francesco Rocco[87] e i tiri di mortaio mieterono molte vittime e a metà pomeriggio appena quindici uomini erano ancora in grado di combattere. Alle 16:00 circa i superstiti paracadutisti britannici si arresero e furono condotti a Siracusa, dove furono subito liberati da una pattuglia della 5ª Divisione britannica sbarcata nella notte. Per il comando supremo alleato l'operazione fu un successo, perché il Ponte Grande era rimasto intatto, ma si dovettero registrare oltre 600 morti, più della metà dei quali annegati[88].
Fonte: wikipedia
l mattino presto del 9 luglio la ETF britannica si avvicinò alle coste della Sicilia e le navi da battaglia Nelson, Rodney, Warspite e Valiant iniziarono a sparare bordate sulle fortificazioni a riva; furono coadiuvate dalle numerose salve di razzi da 127 mm lanciati dagli LCT, che ebbero effetti devastanti non tanto sugli obiettivi quanto sul morale delle truppe italiane che, terrorizzate da una simile preparazione, si arresero ancor prima che l'ondata d'assalto britannica fosse sbarcata[89]. I primi a toccare terra furono i commando mentre la 1ª Divisione canadese approdò sull'ala sinistra, nella penisola di Pachino, su un fronte di 10 chilometri; le tre divisioni britanniche (50ª, 51ª e 5ª) si diressero verso le spiagge a est e a nord.
L'elemento caratterizzante degli sbarchi britannici fu senza dubbio il disordine e l'inesperienza degli uomini; i comandi della 50ª Divisione al largo di Avola ammisero una «certa confusione e mancanza di controllo»: i mezzi da sbarco persero la rotta, molti girarono intorno alle rispettive navi appoggio varie volte prima di rendersi conto della loro posizione e procedere con le operazioni. Un elemento che contribuì al caos complessivo fu il fatto che la maggior parte delle navi da trasporto avevano gettato l'ancora a 19 chilometri dalla costa invece degli 11 previsti, ingenerando notevole confusione tra le truppe e tagliandole fuori dal collegamento radio[90]. Dopo aver preso terra, le unità della 50ª Divisione furono accolte da fuoco di artiglieria molto limitato, si ebbero poche vittime e trascurabili problemi sulle spiagge. Entro la mattinata i britannici conquistarono sia Noto sia Avola, quest'ultima difesa da circa settanta uomini del 374º Battaglione del maggiore Fontemaggi[91].
Più a est, nel settore della 5ª Divisione, un reparto di Commando dei Royal Marines entrò a Cassibile e una pattuglia del 2º Battaglione del Reggimento Northamptonshire liberò quindici "Diavoli rossi" prigionieri degli italiani mentre venivano condotti a Siracusa; toccò quindi agli uomini del 2º Battaglione del reggimento Royal Scottish Fusilier riconquistare Ponte Grande, poco prima che fosse fatto esplodere dagli italiani. Alle 21:00 i carri e le avanguardie della 17ª Brigata penetrarono a Siracusa accolti con stupore dalla popolazione: la notizia degli sbarchi si era diffusa fin dal mattino, ma durante tutto il pomeriggio la popolazione non aveva più avvertito nessun rumore della battaglia e si era diffuso il convincimento che il nemico fosse lontano.
Pachino. Sulla spiaggia di Marzameni, invece, il plotone del sottotenente Vincenzo Barone difese la posizione fino all'ultimo, venendo poi completamente annientato; anche i capisaldi del 430º Battaglione resistettero fino a sera inoltrata ed episodi di strenua resistenza si ebbero pure alla foce del torrente Cassibile, nelle località di Torre Cuba, Santa Teresa Longarini e Fontane Bianche.
Tuttavia, la sproporzione in uomini ed equipaggiamenti giocò a sfavore dei difensori, che furono soverchiati. Sul fianco sinistro la 1ª Divisione canadese, appoggiata da una brigata dei Royal Marines, prese il campo d'aviazione di Pachino, malamente difeso dal 122º Reggimento del colonnello D'Apollonio. Nello stesso settore la 231ª Brigata del generale Urquhart penetrò in profondità fino a incontrare, nel pomeriggio, le avanguardie del XII Corpo d'armata italiano, il quale contrastò con un nutrito tiro d'artiglieria gli invasori: la sua resistenza fu spezzata dall'intervento dei cannoni navali e dalle squadriglie di Spitfire[93].
A metà mattinata il generale Achille d'Havet, comandante della 206ª Divisione costiera, entrò in azione con le ultime forze residue, ovvero il gruppo mobile F di stanza a Rosolini e il gruppo tattico "Sud" di stanza a Ispica, composto in gran parte da camicie nere: si trattava di poco più di 1 000 uomini, appoggiati da 38 mitragliatrici e sedici cannoni, ma carenti nelle dotazioni controcarri (appena otto pezzi) e nell'appoggio blindato, avendo solo dieci obsoleti carri armati leggeri. La formazione improvvisata combatté contro il grosso della 51ª Divisione, forte di cinquanta pezzi controcarro e che poté beneficiare del supporto sia di 156 carri armati medi M4 Sherman, sia delle numerose navi da guerra a ridosso della costa. Nonostante l'evidente disparità di forze, le truppe italiane si batterono ostinatamente fino al pomeriggio inoltrato, quando le pesanti perdite costrinsero il generale d'Havet a ordinare il ripiegamento.
Il brillante successo degli sbarchi britannici aveva convinto il generale Montgomery che la situazione era molto favorevole e che sarebbe stato possibile avanzare audacemente in profondità; egli prevedeva un attacco principale verso Catania con il XIII Corpo d'armata del generale Dempsey, mentre una manovra secondaria sarebbe stata effettuata all'interno dalla Harpoon Force del generale Leese in direzione di Caltagirone, Enna e Leonforte. Montgomery era ottimista: il 12 luglio scrisse al generale Alexander che sperava «di catturare Catania intorno al 14 luglio»[129].
Per sabotare la batteria navale Lamba Doria il comando inglese utilizzò reparti speciali del SAS (Special Raiding Squadron), che si addestrarono in Palestina su una ricostruzione della batteria. In tutto agirono 250 uomini comandati dal maggiore Mayne, che partiti il 7 luglio da Port Said a bordo della nave Ulster Monarch, arrivarono in zona d’operazioni e scalarono la parete rocciosa di Capo Murro di Porco, considerata troppo alta e ripida per cogliere di sorpresa i difensori.
Alle 02,15 del 10 luglio irruppero di sorpresa le truppe speciali del maggiore Mayne, che attaccarono la batteria dopo aver ucciso le sentinelle lungo il reticolato.
La resistenza delle camicie nere, pur con netta superiorità nemica degli attaccanti, si protrasse fino alle ore 4,00 quando i superstiti furono sopraffatti, fatti prigionieri e trasferiti al campo di prigionia allestito dagli Inglesi a Cassibile. La conquista della batteria Lamba Doria ebbe un effetto devastante sui militi della vicina batteria "Emanuele Russo" ed un effetto "domino" sul comando di Augusta.
I genieri britannici ebbero il ruolo di far saltare i temibili pezzi navali da 152 mm e, dopo la conquista della batteria, fu facile per i britannici controllare il golfo di Noto per lo sbarco in massa di uomini e mezzi sulle spiagge.
Il comandante della batteria Lamba Doria durante le operazioni belliche del 9-10 luglio 1943 era il siracusano, seniore MVSN Antonino Pandolfo.
Nel corso del secondo conflitto mondiale, almeno fino alle prime operazioni del 10 luglio 1943, la piazzaforte di Augusta-Siracusa era stata considerata strategicamente, dagli angloamericani, l’avamposto più temibile per la loro base più vicina, l’isola di Malta; nello stesso tempo, gli anglo-americani consideravano la piazzaforte di Augusta-Siracusa la più ambita nell’operazione d’invasione Europea.
Dopo l'operazione militare anglo-americana del 9-10 luglio 1943, denominata “Husky” la piazzaforte di Augusta-Siracusa passò alla storiografia del ventesimo secolo con la brutta
fama della base più munita come sistema difensivo, che crollò senza combattere.
Tanti furono gli errori strategici che portarono al collasso della piazzaforte; fra questi errore fondamentale quello di diramare l’ordine del 9 luglio 1943, emanato dal capo di stato maggiore ammiraglio Gasparrini a tutte le batterie costiere, sulla distruzione degli impianti e delle opere di difesa in caso d’invasione, suscitando allarmi prematuri fra i soldati.
Un ordine, sollecitato alle 22,00 al Comando della DICAT dallo stesso ammiraglio Leonardi che rendeva i comandanti responsabili dell’esecuzione.
L'occupazione di Siracusa e la caduta di Augusta
Il 12 luglio cadde Augusta, che assieme a Siracusa rappresentava una piazza marittima di grande importanza operativa per Eisenhower, poiché questi porti dovevano servire per lo sbarco del grosso del corpo di spedizione alleato che avrebbe operato durante le fasi di avanzata verso Catania e oltre[130]. Il fronte a mare di Augusta comprendeva il tratto litorale tra le due città portuali e rappresentava potenzialmente un serio impedimento alle operazioni alleate. Ma, nonostante i pericolosi cannoni da 381 mm, le numerose artiglierie costiere e contraeree e le fortificazioni di prim'ordine, la piazza di Augusta fu abbandonata dagli italiani senza neppur avere tentato di usare le artiglierie che impensierivano la flotta britannica. Infatti già dal 9 luglio, dopo i primi avvistamenti al largo della flotta d'invasione, secondo lo storico Giorgio Giorgerini gli uomini del presidio disertarono in massa e distrussero le fortificazioni di loro iniziativa, mentre il comandante Priamo Leonardi era assente, così quando le truppe aviotrasportate britanniche il 9 occuparono il ponte sul fiume Anapo, nell'immediato entroterra della piazzaforte, le batterie erano già deserte. La stragrande maggioranza degli italiani, dopo aver reso inutilizzabili le artiglierie e bruciato i depositi di carburante, depose le armi ancor prima che le navi britanniche si presentassero al largo di Augusta, lasciando la città e le strutture portuali pressoché abbandonate. Nell'entroterra di Augusta solo alcuni reparti italiani raccogliticci, guidati dal comandante della piazzaforte Leonardi, in collaborazione con alcuni reparti della "Göring", tentarono di contrastare sull'Anapo le truppe britanniche provenienti da Avola, ma la superiorità degli alleati fu schiacciante e, dopo aver occupato definitivamente il ponte sul fiume, il 13 entrarono ad Augusta. Quando la squadra navale dell'ammiraglio Thomas Hope Troubridge fece la prima puntata contro la piazza marittima la mattina del 12 luglio, solo uno stormo di Stuka della Luftwaffe comparve a difesa delle coste, colpendo il cacciatorpediniere Eskimo, ma nel pomeriggio, appresa l'assenza del nemico, la piccola squadra di Troubridge entrò nella intatta rada di Augusta senza incontrare resistenza.
Montgomery diede al XXX Corpo di Oliver Leese con i canadesi il compito di avanzare lungo la statale 124, detta Siracusana poiché attraversa l'hinterland di Siracusa, passando per i monti Iblei in direzione di Enna, nel tentativo di aggirare sulla destra i tedeschi e occupare l'importante snodo stradale e sede del comando della 6ª Armata italiana, mentre il XIII Corpo, con la 50ª Divisione del generale Kirkman, avrebbe attaccato lungo la costa in direzione Catania.
L'episodio di Augusta rientra nel contesto di sfascio generale in cui il Regio Esercito stava andando incontro già prima del 25 luglio, dettato dalla stanchezza della guerra, il desiderio di pace e la consapevolezza che la guerra fascista si era ormai rivelata un bluff, mentre le armate alleate rendevano sempre più evidente la loro possanza. Il 16 agosto, infatti, nel tentativo di prevenire le diserzioni di massa che si stavano prospettando in seno all'esercito in Sicilia, il comando del XIV Corpo d'Armata s'era visto costretto a emanare ordini draconiani contro i militari sbandati, i quali «specie quelli nati nell'isola, hanno abbandonato le divise acquistando abiti borghesi e hanno alterato le divise cercando di darvi una foggia borghese». Il comando aveva dichiarato disertori coloro i quali si fossero comportati in quel modo, ordinando di passarli per le armi.