Nella prima metà del 1943, in una situazione generale di grave preoccupazione, indotta dall'opinione, sempre più condivisa, che la guerra fosse ormai perduta e che stesse apportando insopportabili e gravissimi danni al Paese, Benito Mussolini, capo del governo, operò una serie di avvicendamenti, che investirono alcuni dei più significativi centri di potere e delle alte cariche dello Stato, rimuovendo, tra l'altro, alcuni personaggi che reputava ostili alla prosecuzione del conflitto accanto alla Germania, o comunque più fedeli al Re che non al regime fascista. Tra gli altri, furono rimossi Giuseppe Volpi, Presidente della Confindustria e membro del Gran Consiglio del Fascismo, Galeazzo Ciano, Ministro degli Esteri e genero del Duce, relegato a servire quale ambasciatore presso la Santa Sede, e il Ministro della Cultura Popolare Alessandro Pavolini, cui fu affidata la direzione del quotidiano "Il Messaggero".
Grandi riuscì a coinvolgere nella fronda sia Giuseppe Bottai, altro importantissimo gerarca che sosteneva l'idea originaria e "sociale" del fascismo operando sui campi della cultura, sia Galeazzo Ciano, che oltre che ministro e altissimo gerarca anch'egli, era pure genero del Duce. Con essi diede vita all'Ordine del Giorno che avrebbe presentato alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943 e che conteneva l'invito rivolto al Re a riprendere le redini della situazione politica. Mussolini fu arrestato e sostituito da Badoglio, anziché, come era stato sempre detto a Grandi, da Enrico Caviglia.
La nomina di Badoglio non significava una tregua, sebbene fosse un tassello della manovra sabauda per giungere alla pace. Attraverso un gran numero di espedienti, si cercò un produttivo contatto con le Potenze Alleate, cercando di ricostruire quei passaggi delle trattative (sempre indicate come spontanee e indipendenti) già intessute da Maria José, consorte di Umberto di Savoia, che potevano stavolta meritare l'avallo del Re.
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l generale Castellano fu inviato a Lisbona per incontrare gli inviati alleati, tuttavia, non poté attuare la missione con la speditezza che la drammaticità della situazione esigeva. Castellano, infatti, fu autorizzato a raggiungere il territorio neutrale soltanto in treno, e impiegò tre giorni per raggiungere Madrid e in seguito Lisbona. Castellano non parlava inglese e poté avvalersi come traduttore e assistente del console Franco Montanari (che lo accompagnò in seguito fino a Cassibile). Solo il 19 agosto conferì con i rappresentanti del Comando Alleato. Ripartì il giorno 23, giungendo finalmente a Roma il 27 agosto. La missione era durata quindici giorni. Nel frattempo, per affiancare l'inviato italiano, furono mandati a Lisbona in aereo il generale Rossi e il generale Zanussi, che si presentarono ai rappresentanti alleati appena ripartito Castellano per Roma. Questa scelta generò anche una certa perplessità tra gli Alleati; in particolare il generale Zanussi, già addetto militare a Berlino, non era ben visto dagli Alleati, peraltro confusi dall'invio di delegazioni così ravvicinate e senza coordinamento[8]. L'Ambasciatore britannico Ronald Campbell e i due generali inviati nella capitale portoghese dal generale Dwight David Eisenhower, lo statunitense Walter Bedell Smith e il britannico Kenneth Strong, ricevettero la disponibilità di Roma alla resa.[9]
Accettare la resa (rinunciando a conquistare militarmente l'Italia), divenne dunque la scelta più utile, per la quale spendere molte energie diplomatiche, sia da parte americana sia degli altri alleati.
Il 30 agosto, Badoglio convocò Castellano, rientrato il 27 da Lisbona con qualche prospettiva. Il generale comunicò la richiesta di un incontro in Sicilia, che era già stata conquistata. La proposta fu avanzata dagli Alleati per il tramite dell'Ambasciatore britannico in Vaticano, D'Arcy Osborne che collaborava a stretto contatto con il collega statunitense Myron Charles Taylor. Si è congetturato che la scelta proprio di quel diplomatico non fosse stata casuale, a significare che il Vaticano, già attraverso monsignor Montini ben immerso in trattative diplomatiche per il futuro post-bellico, e sospettato dal Quirinale di aver osteggiato la pace in trattative precedenti, stavolta avallasse, o almeno non intendesse ostacolare, il perseguimento di un simile obiettivo.
La scelta delle condizioni
Badoglio, che era convinto di poter negoziare la resa, quantunque si trattasse in realtà di una richiesta di cessazione delle ostilità, inviò Castellano come ambasciatore presso gli Alleati. Castellano fu incaricato di specificare una condizione: l'intervento alleato nella penisola. Badoglio decise addirittura di chiedere agli Alleati di conoscere quali fossero i loro piani, sebbene il conflitto fosse ancora in corso.
Tra le tante altre condizioni che furono richieste agli Alleati, solo quella di inviare 2.000 unità paracadutate su Roma per la difesa della Capitale fu accolta, anche perché in parte già prevista dai piani alleati (ma sarebbe stata poi snobbata dagli stessi comandi italiani)[10]. Il 31 agosto il generale Castellano giunse a Termini Imerese e fu portato a Cassibile (Siracusa).
Castellano chiese garanzie agli Alleati riguardo alla reazione tedesca contro l'Italia alla notizia della firma dell'armistizio e, in particolare, uno sbarco alleato a nord di Roma precedente all'annuncio; da parte alleata si ribatté che uno sbarco in forze e l'azione di una divisione di paracadutisti sulla capitale (un'altra richiesta su cui Castellano insistette) sarebbero stati in ogni caso contemporanei e non precedenti alla proclamazione dell'armistizio. In serata Castellano rientrò a Roma per riferire.
Il giorno successivo Castellano fu ricevuto da Badoglio; all'incontro parteciparono il Ministro degli Esteri Raffaele Guariglia e i generali Vittorio Ambrosio e Giacomo Carboni. Emersero posizioni non coincidenti: Guariglia e Ambrosio ritenevano che le condizioni alleate dovessero a quel punto essere accettate; Carboni dichiarò invece che il Corpo d'Armata da lui dipendente, schierato a difesa di Roma, non avrebbe potuto difendere la città dai tedeschi per mancanza di munizioni e carburante. Badoglio, che nella riunione non si pronunciò, fu ricevuto nel pomeriggio dal re Vittorio Emanuele, che decise di accettare le condizioni dell'armistizio.
L'arrivo di Castellano a Cassibile e la stipula
Un telegramma di conferma fu inviato agli Alleati; in esso si preannunciava anche l'imminente invio del generale Castellano. Il telegramma fu intercettato dalle forze tedesche in Italia che, già in sospetto di una simile possibile soluzione, presero a mettere sotto pressione, attraverso il comandante della piazza di Roma, Badoglio: questi enfaticamente spese molte volte la propria parola d'onore per smentire[senza fonte] qualsiasi rapporto con gli americani, ma in Germania cominciarono a organizzare delle contromisure.
Il 2 settembre Castellano ripartì per Cassibile, per dichiarare l'accettazione da parte italiana del testo dell'armistizio; non aveva tuttavia con sé alcuna autorizzazione scritta a firmare. Badoglio, che non gradiva che il suo nome fosse in qualche modo legato alla sconfitta[senza fonte], cercava di apparire il meno possibile e non gli aveva fornito deleghe per la firma, auspicando evidentemente che gli Alleati non pretendessero altri impegni scritti oltre al telegramma spedito il giorno precedente.
Castellano sottoscrisse il testo di un telegramma da inviare a Roma, redatto dal generale Bedell Smith, in cui si richiedevano le credenziali del generale, cioè l'autorizzazione a firmare l'armistizio per conto di Badoglio, che non avrebbe più potuto evitare il coinvolgimento del suo nome; si precisò che, senza tale firma, si sarebbe prodotta l'immediata rottura delle trattative. Ciò, naturalmente, perché in assenza di un accredito ufficiale, la firma di Castellano avrebbe impegnato solo lo stesso generale, certo non il governo italiano. Nessuna risposta pervenne tuttavia da Roma. Al che, nella prima mattinata del 3 settembre, per sollecitare la delega, Castellano inviò un secondo telegramma a Badoglio, che questa volta rispose quasi subito con un radiogramma in cui chiariva che il testo del telegramma del 1º settembre era già un'implicita accettazione delle condizioni di armistizio poste dagli Alleati.
Ma di fatto continuava comunque a mancare una delega a firmare e si dovette attendere un ulteriore telegramma di Badoglio, pervenuto solo alle 16:30: oltre all'esplicita autorizzazione a firmare l'armistizio per conto di Badoglio, il telegramma informava che la dichiarazione di autorizzazione era stata depositata presso l'ambasciatore britannico in Vaticano D'Arcy Osborne. A quel punto si procedette alla firma del testo dell'armistizio 'breve'.
Le firme
Il generale Giuseppe Castellano firma l'armistizio a Cassibile per conto di Badoglio. In piedi Walter Bedell Smith (a destra) e il funzionario del ministero degli esteri Franco Montanari (a sinistra).
L'operazione ebbe inizio intorno alle 17. Apposero la loro firma Castellano, a nome di Badoglio, e Walter Bedell Smith (futuro direttore della CIA) a nome di Eisenhower. Alle 17:30 il testo risultava firmato. Fu allora bloccata in extremis dal generale Eisenhower la partenza di cinquecento aerei già in procinto di decollare per una missione di bombardamento su Roma, minaccia che aveva corroborato lo sveltimento dei dubbi di Badoglio e che probabilmente sarebbe stata attuata se la firma fosse saltata.
Harold Macmillan, il Ministro britannico distaccato presso il Quartier Generale di Eisenhower, informò subito Churchill che l'armistizio era stato firmato "[...] senza emendamenti di alcun genere".
A Castellano furono solo allora sottoposte le clausole contenute nel testo dell'armistizio 'lungo', già presentate invece a suo tempo dall'ambasciatore Campbell al generale Giacomo Zanussi, anch'egli presente a Cassibile già dal 31 agosto, che tuttavia, per ragioni non chiare, aveva omesso di informarne il collega. Bedell Smith sottolineò che le clausole aggiuntive contenute nel testo dell'armistizio "lungo" avevano tuttavia un valore dipendente dalla effettiva collaborazione italiana alla guerra contro i tedeschi.
Nel pomeriggio dello stesso 3 settembre Badoglio si riunì con i Ministri della Marina, De Courten, dell'Aeronautica, Sandalli, della Guerra, Sorice, presenti il generale Ambrosio e il Ministro della Real Casa Acquarone: non fece cenno alla firma dell'armistizio, riferendosi semplicemente a trattative in corso.
Fornì invece indicazioni sulle operazioni previste dagli Alleati; in particolare, nel corso di tale riunione, avrebbe fatto cenno allo sbarco in Calabria, a uno sbarco di ben maggiore rilievo atteso nei pressi di Napoli e all'azione di una divisione di paracadutisti alleati a Roma, che sarebbe stata supportata dalle divisioni italiane in città perché ormai l'Italia avrebbe agevolato gli alleati.
Intanto Hitler, il 7 settembre, aveva chiesto al suo comando di formalizzare in un ultimatum le pressanti richieste che i comandi militari tedeschi facevano al comando supremo italiano.[11] Le richieste comprendevano la libertà di movimento delle truppe tedesche in ogni parte del territorio italiano, in particolare le installazioni della Marina militare. Con insistenza, i tedeschi avevano chiesto più volte di stabilire quartiere alla Spezia, per difendere il locale grande Arsenale della Marina, sede della Flotta Navale da Battaglia e base delle principali navi della Marina: da questo porto, la notte fra l'8 e il 9 settembre, uscirà la Flotta per andare a consegnarsi agli Alleati in ottemperanza delle condizioni d'armistizio, inclusa la "Roma", poi affondata al largo dell'Asinara dall'aviazione tedesca, il ritiro delle truppe italiane dalle zone di confine con il Reich, la sottomissione di tutte le truppe italiane presenti nella Valle del Po alle direttive del Heeresgruppe B, creazione di un grande contingente di truppe italiane per la difesa dell'Italia del Sud dall'invasione alleata e modifica della catena di comando in favore di un controllo tedesco delle forze armate italiane. L'ultimatum doveva essere firmato da Hitler il 9 settembre, ma l'annuncio dell'armistizio lo rese inutile.[11]
Gli eventi correlati e la divulgazione
Nelle prime ore del mattino del 3 settembre, dopo un bombardamento aeronavale alleato delle coste calabresi, ebbe inizio fra Villa San Giovanni e Reggio Calabria lo sbarco di soldati della 1ª Divisione canadese e di reparti britannici; si trattò di un imponente diversivo per concentrare l'attenzione dei tedeschi molto a sud di Salerno, dove avrebbe avuto invece luogo lo sbarco principale.
Due americani, il generale di brigata Maxwell D. Taylor e il colonnello William T. Gardiner, furono inviati in segreto a Roma per verificare le reali intenzioni degli italiani e la loro effettiva capacità di supporto per i paracadutisti americani. La sera del 7 settembre incontrarono il generale Giacomo Carboni, responsabile delle forze a difesa di Roma. Carboni manifestò l'impossibilità delle forze italiane di appoggiare i paracadutisti americani e la necessità di rinviare l'annuncio dell'armistizio. Gli americani chiesero di vedere Badoglio, il quale confermò l'impossibilità di un immediato armistizio. Eisenhowe
r, avvisato dei fatti, fece annullare l'azione dei paracadutisti, che avevano già parzialmente preso il decollo dalla Sicilia, e decise di rendere pubblico l'armistizio. Alle 18:30 dell'8 settembre gli Alleati annunciarono l'armistizio dai microfoni di Radio Algeri[12]. Alle 18:45 un bollettino della Reuters raggiunge Vittorio Emanuele e Badoglio al Quirinale; il Re decise di confermare l'annuncio degli americani.[13]
L'armistizio fu reso pubblico alle 19:45 dell'8 settembre dai microfoni dell'EIAR che interruppero le trasmissioni per trasmettere l'annuncio (precedentemente registrato) della voce di Badoglio che annunciava l'armistizio alla nazione.